Rigurgiti di perbenismo
Il “politically correct” designerebbe una modalità comportamentale e di linguaggio improntata al rispetto generale. Lo scopo di base resta quello di educare ed educarsi nel rifuggire l’offesa, a prescindere dalla categoria individuata. Aggiungo che “individuare categorie”, di per sé ingloba il rischio di discriminare. Faccio un esempio: la persona umana è tale a prescindere da diverse caratteristiche che ciascuno di noi possa avere; pertanto, l’idea di sottolineare una diversità “quando non è fondamentale” può apparire ancora più offensivo di un silenzio privo di preconcetti.
Storia
Il concetto di “politically correct” prende campo negli anni venti negli Stati Uniti negli ambienti di sinistra di ispirazione comunista. Nella società statunitense di quegli anni apparve necessario “cambiare” il linguaggio nell’indicare la provenienza da territori africani: si passò da “blacks”, niggers” ad “afro-americans”. Per altri contesti si passò all’espressione “gay” in sostituzione di “sodomite”. Certamente, apparve opportuno frenare gli episodi di razzismo fra studenti con l’imposizione di codici di condotta verbale (i cosiddetti “speech codes”).
Sviluppi
Il “politically correct” non risolve i problemi se alla base non c’è la volontà di dialogo. In tali casi, le regole preliminari pongono solo paletti fittizi. Le varie regole di condotta verbale sono semplicemente uno strumento, ma il rispetto dovrebbe albergare a prescindere dentro ciascuno.
Perbenismo
Se non sentito, il ““politically correct” diventa solo costola del vacuo perbenismo, ossequio ipocrita a norme convenzionali del vivere. Che valore avrebbe? Nessuno. Anzi, molto spesso può essere ancor più istigatore di violenza.
Joker
Mi riferisco al film di recente uscita basato su questo personaggio tratto dai fumetti. Joker, antagonista di Batman, rappresenterebbe il male contrapposto al bene. La regìa di Todd Philips propone un’analisi che scava molto più nel profondo, sviscera motivazioni, mostra il vero volto della società contemporanea. In essa, la contrapposizione non è fra i buoni e la criminalità: piuttosto, l’analisi di qualcosa di più reale. In opposizione ad un diffuso perbenismo di facciata, c’è la gente che soffre, che arranca nel portare avanti l’esistenza. Eppure non s’arrende, non pretende, sta al proprio posto, posizioni umane che hanno diritto di trovare collocazione, a meno che non si vogliano denudare i limiti di una società che rifiuta le problematiche, le nasconde, le nega.
Problematiche sociali
Nel film, si tagliano i fondi per il sostegno a coloro che soffrono di disagi psichici. Nella vita reale, le società tendono spesso a ghettizzare i problemi, i terremotati senza alloggio, le capitali invase dalla spazzatura, i fenomeni inquinanti che uccidono, i disoccupati, gli esodati, i migranti, gli anziani, tutti portatori di istanze legittime, che il mondo borghese è costretto a contemplare; ma che al tempo stesso, rifugge, per ipocrisia, per disinteresse della sofferenza che può esistere accanto a sé, troppo incentrati sulle proprie priorità. Le società contemporanee, spesso, non presentano più commistioni; emerge, piuttosto l’individualismo che accentua la solitudine, a dispetto della solidarietà e condivisione.
Rigurgiti di perbenismo
Troppi podi, la vita e’ vista come necessaria scalata al successo, pena l’esclusione. Scale che diventano pesanti da percorrere (ce lo mostra sapientemente la fotografia del film) se siamo rimasti indietro. Ma contraddittoriamente al proprio stato, siamo chiamati a ridere lo stesso, sforzarci di apparire felici, questo ci dipingono le pubblicità. Si diventa rigurgiti del perbenismo, desolazioni da estraniare.
Come Joker, noi paria della società, siamo condannati a ridere, malgrado tutto. Fino alla prossima esplosione.
Saluti col ghigno della “corda pazza”