Qui tutto lo spazio è dedicato al riconoscimento, il mio. C’entra con la visibilità, ma si distingue da quest’ultima per una profondità intrinseca poiché il riconoscimento è qualcosa che parte dal basso, è un’autorevolezza conferita, un podio tributato da altri. Ma qui si parla di musica, per cui niente podio, piuttosto parleremo di palchi. Quelli calcati sin dal 2008 dai Reloaded Hard Rock Cover Band proponendo il loro sound inconfondibile, nettamente distinguibile da tantissime altre band.
Il gusto per forti sonorità
Comincio a conoscerli in modo del tutto atipico, attraverso il vivavoce dello smartphone della donna con cui condivido la vita. Dialogo con uno dei fondatori che mi concede lo strappo di poter far dediche. Siamo nel 2014, li incontro per la prima volta di presenza in un locale, che per motivi di ristrutturazione, concede loro pochissimo spazio. E’ un fatto positivo, ne apprezzo immediatamente quella sorta di democrazia che non fa distinzione di luoghi e fruitori, tutti meritano di essere destinatari di un unico grande messaggio che passa attraverso la comunanza per la buona musica.
Luca Mauri
Mi lascio invadere delle modulazioni vocali del front man, Luca Mauri, che in quell’occasione, si esibisce febbricitante. Da allora, mi è rimasto impresso lo stile e quelle estensioni difficili da trovare in un’unica persona. Oltre all’inimitabile verve, Luca Mauri trova il suo punto di forza nella timbrica che si ricuce alla perfezione, quasi fosse un guanto di pelle, alle sonorità degli artisti meglio noti che si ritrova a proporre. Una voce ruvida, graffiante, ispida se lo richiede il caso, profonda e cavernosa in altri casi, acuta nelle elevazioni in altre ancora. Queste sue doti camaleontiche unite alla sua decisa presenza sul palco fanno di lui un rocker di tutto rispetto.
Little Wing
Del co-fondatore, Andrea Castagna, mi colpisce qualcosa che ci accomuna. Porta inciso sull’avambraccio sinistro e sulla sua personalissima guitar “little wing”, un pezzo che ama intercalare sovente come stacco fra una serie di pezzi hard rock e altri come momento di una sorta di elevazione quasi mistica. Perché assieme alla sua chitarra, lui fa corpo unico, dialogano, comunicano al mondo attraverso quel linguaggio universale non fatto di parole ma che certamente si fa strada nelle diverse sensibilità di ciascun spettatore.
Non meno incisive appaiono le sofisticate carezze su basse tonalità che compie Steve “Ferrovecchio” De Santis, virtuoso delle robuste corde del basso, trattate come se stesse sempre pennellando musica. Nello sfondo, sempre presente, con le sue bacchette roteanti, Marco Dell’Era. Roba da supereroi, dove ogni bordata è musica, dove il destinatario non è mai un nemico.
“Adrenalina rock” la chiamano. Io aggiungo che se quella piccola ala “cavalcando il vento quando sono triste viene a trovarmi con un migliaio di sorrisi per i quali non chiede nulla in cambio”, loro fanno altrettanto a suon di rock.