Non ho mai avuto particolare simpatia per Facebook, lo confesso. Ho iniziato ad utilizzarlo, tutto sommato da poco tempo, quando ormai il social registrava l’apice della sua diffusione nel mondo, o forse anche la fase in cui le nuove generazioni prediligono, come è consueto, nuove applicazioni, tipiche del loro tempo di vita.
Contatti
“Serve a ritrovare le persone lontane, quelle di cui si sono persi i contatti”. Questo sentivo dire. “Serve a dialogare, a raccontarsi, affinché gli altri sappiano di te e tu possa sapere cosa accade loro.” Rimanevano argomenti che non avevano presa, eppure mi convinsi a riversare anche i miei di pensieri in quel mondo lì, inter scambiarmi con quel resto del pianeta che sembrava io avessi escluso dalla mia vita. Dico la verità, sono all’antica: preferisco la presenza alla sola voce, prediligo la voce ai messaggi e così via, ho la mia scala di preferenze comunicative. Detto ciò, scelsi di non perseverare nei miei convincimenti. Era stato egoismo il mio? Ero orso? Avevo snobbato l’umanità? Se era stato così, era arrivato il momento di rimediare.
L’avvio
La donna con cui condivido la vita mi risolse i problemi tecnici e fu così che il mio nome approdò in quelle lande virtuali. L’entusiasmo del neofita mi vide lanciato in desideri di postare (dico postare, badate bene, è un termine comparso nel mio vocabolario solo un anno mezzo fa!) pensieri, discorsi, idee e riflessioni che di solito avevo riservato alle persone più care. “No, non così”, mi disse la mia metà, “non devi scrivere discorsi così lunghi e articolati, se no la gente non ti legge”, concluse, senza lasciare spazio alle mie perplessità. “Cominciamo male”, mi dissi. “Allora non è lo strumento che mi serve”, conclusi a mia volta.
Rodaggio
Non disperai. Lei mi ricordò che ero pur sempre libero di scrivere qualsivoglia cosa, postare ogni foto desiderassi, ma la comunicazione narrativo/visuale di Facebook prevede una certa sintesi e immediatezza di contenuti. Andava meglio. Facebook rimaneva pur sempre una grande, immensa piazza di comunicazione. Abbinato a questa pagina web, mi sembrò uno strumento sociale che avevo ingiustamente escluso.
Strane avvisaglie
Era la festa del papà. Lei cambiò l’immagine del profilo in onore del padre, un’immagine di un uomo in tuta da aviatore. A vederla, mi ricordò Antoine di Saint Exupery, proprio quello del “Piccolo principe”, e quel grande desiderio di esplorare. L’immagine fu censurata. chieste spiegazioni, “il grande fratello” rispose laconico che l’immagine non rispettava i criteri che stavano alla base del social. Quali criteri?
Eventi in successione
Mi capitò di avvisare un’amica che aveva pubblicata una notizia non vera. “Alla mia età, non ho tempo da perdere con chi la pensa diversamente da me”, fu la sua risposta; immediatamente dopo mi bloccò. Il mio era stato uno scrupolo, amore per la verità, nulla più. Ero passato per rompicoglioni. Poi, venne il tempo degli insulti: nonostante io dialogassi con estrema educazione e cortesia, la torrenzialità degli improperi che ho ricevuto fu di portata biblica: neanche fosse una delle sette piaghe d’Egitto. Spinto da senso civico, in questo periodo in cui “l’anti-odio” fa tendenza, segnalai quelle denigrazioni gratuite. la risposta del “fratellone” giunse quasi un giorno dopo: “Può bloccare l’utente, se vuole”. A quello ci arrivavo da solo.
Curiose modalità
La volta in cui condivisi il discorso di un europarlamentare (espresso nella sua legittima sede di Bruxelles) e che fu “cancellato”, capii, come ebbe a dirmi un amico, che facebook è a casa sua. Pertanto, sarei scortese io ad usare la sua piazza per esprimermi. Ergo, non è un luogo di libertà. Anzi, è un luogo pericoloso, visto che il medesimo facebook, lascia che io sia insultato e vilipeso.
Cos’è facebook?
Questa grande metropoli virtuale ha un creatore/proprietario. Detiene pezzetti della mia vita (una piccola parte, per fortuna), le mie riflessioni, i miei dialoghi, persino mie foto. Ha ritenuto di voler “indirizzare” il mio comportamento, nonostante esso fosse assolutamente improntato alle buone e cortesi maniere. Ha preteso di “educarmi”, stabilendo cosa posso o non posso esprimere. Deduco che lo faccia con chiunque. Facebook stabilisce chi sono, etichetta i miei pensieri, mi classifica agli occhi del mondo, mi inchioda ad una immagine di me stesso che neppure io ho voluto. Diventiamo personaggi, rinunciando ad essere persone. La creatura di Mark Zucherberg ingloba le informazioni di 1/3 della popolazione mondiale, tutti quanti dentro casa sua. E quando siamo lì, si balla secondo le usanze del padrone di casa. Ecco perché ho cancellato facebook.
Perché ho cancellato facebook
Ho cancellato facebook, non fa più parte della mia vita. Chi ha piacere di dialogare con me lo faccia pure secondo ogni altra modalità possibile, se vuole. Da parte mia, farò altrettanto. Mi vengono in mente Edmond Dantès e l’Abate Farìa: liberi sempre, anche dentro una cella umida di pochi metri quadri. Liberi dentro la propria mente, liberi di raccontarsi anche solo a sé stessi, se mai fosse il caso. Liberi anche di sbagliare, come il buon Dio ci ha concesso con il libero arbitrio.
Liberi.