Sinossi “Nel Momento”
“Nel momento” è un racconto intimo. E’ un dialogo denso, fuori di una contestualità definita, che manifesta il “dolore della felicità”. Volare in alto, cercare il significato dentro ogni momento della vita comporta un anelito, una tensione positiva che, al tempo stesso, si può rivelare paradossalmente dolorosa. E’ la vibrazione dell’anima che senza tregua cerca di più, cerca sempre il tutto, l’Infinito nell’infinitesimo momento.
Questo racconto ha partecipato nel 2018 al concorso letterario “OttoperOtto” e nel 2019 al concorso letterario “ racconti d’Amore”.
Nel momento
C’è freddo fuori.
“Sarai contenta, Amore, dici sempre di preferire l’aria frizzante”.
“Il caldo affloscia”, di solito mi dice.
Guardo dal vetro e tutto ciò che scorgo è ammantato di bianco. Oggi siamo sotto lo zero, stanotte la neve è attecchita. Guarderò il termometro, quello della macchina, vedremo quanto segna.
“Non sempre”, mi dico, “Non sempre il freddo è il clima preferibile”.
Penso a quello dell’anima, per esempio, a quel gelo dentro, quello che intorpidisce le passioni.
“Ma neppure il contrario va bene”, mi dico.
No, il torrente d’ira che può sgorgare, no, neppure quello va bene.
“Preferisco il clima mite”, le dico, “Non si sta troppo coperti, né si subiscono i patimenti dell’afa”.
“Io continuo a preferire le basse temperature, il camino acceso, il cielo opaco”, mi dice di rimando. Percepisco che non ci sono praterie di disponibilità nel suo parlare, recinti piuttosto.
“Sai che mi sposterei verso alte latitudini, non amo le regioni né calde né umide. E sai anche che preferisco la sera e la notte al giorno e alla luce. Probabilmente per associazione al freddo.”
“Si lo so”, le rispondo, ma è un argine della diga, il suo, come i palmi delle mani protesi in verticale, a contenere.
C’è stato un tempo iniziale, fra noi, quello in cui i fiotti si sono mescolati formando un’unica pozza.
Due moti, cominciati chissà dove, due modi di fluire che avanzavano secondo linee imprevedibili, un riversarsi con impeto, fuori dalle barriere predefinite.
C’è il punto in cui tutto si confonde, si infrangono le onde, si mischiano, mutano.
“Non sei più lo stesso, lo sai? mi dice. “Ti ricordo col sorriso. Sempre.”
Il percorso che fu nostro, le origini dai nostri padri, e le loro, dai padri dei nostri padri. E’ un movimento iniziato nel tempo. Si perdono le tracce guardando indietro.
Percepisco il movimento, quel senso del fluire, dove si è diretti. Io così imperfetto, non mi era noto l’approdo.
“Ho della rabbia dentro”, le dico, “Io voglio sapere ogni perché, da dove comincia un malumore”.
“Siamo diversi”, risponde, “Capita che confondi le mie dinamiche. Cerchi fra le frasi, negli occhi, nell’istante.”
Siamo diversi, penso, il mio urlo è esigenza di completezza che si riafferma in ogni breve spazio di tempo.
E’ un bisogno, è quel vero che si ripete dentro ciascuna impercettibilità.
Non è la perfezione, non lo siamo, nonostante l’anelito.
Veri si, questa costante irrompe e scardina.
Fa male, è un’impellenza incessante, ma se così non fosse sarebbero solo flutti dentro un labirinto di tubi.
“Ci siamo trascinati tante cose nel percorso”, le dico, “Siamo stati questi flussi quando ci siamo travasati l’uno nell’altra. Sento questa bellezza. E’ la certezza di questa inscindibile frammistione. Non c’è percezione più appagante, quella delle nostre coscienze che si intrecciano.”
Cerco una coperta di lana, mentre lei si accende una sigaretta.
Come una pausa, pensieri che si diradano come il fumo.
“Non dirmi che non hai mai pensato che tutto potesse finire”, mi dice.
“Sai, puoi distillare il mare, ma diventa un’altra cosa, diversa dalla somma dei suoi componenti, diversa da ciò che era prima di essere tale. Un fiume nasce chissà dove, s’ingrossa nel suo cammino, si arricchisce di tanti altri elementi, porta con sé il frutto del percorso. Se anche fosse possibile depurarlo, non sarebbe mai ciò che è stato prima.”
“Siamo diversi”, mi ripete, “Io non spacco l’errore, vado avanti”.
Chissà le onde che s’infrangono, se potessero provare emozioni.
“Io sento il tuo dolore e il mio”, dico, saltando come un cavallone, come i balzi che fa il fuoco di un grande incendio.
“Sai la differenza?” mi dice, “Lo sento anch’io, fortissimo, quel dolore. E’ un tormento. Tu vuoi capire? Io invece non mi soffermo sull’onda che s’infrange, assorbo piuttosto la potenza dei mille zampilli che ne scaturiscono. In quel momento, sopporto l’urto.”
“Io sento la pienezza che mi dai, sono aggrappato a questa adesione così completa, mi fa male però il vuoto d’aria”, dico, “E mi domando perché questa bellezza mi si stacca dalle mani, così, all’improvviso, senza alcuna ragione. Poi, al di là di me, del mio sfogo, del mio sgomento, come dal nulla, riappare un tuo sorriso.”
Mi guarda negli occhi, fissa, non capisco cosa stia per dire.
Come sempre.
“Io ti ho dato la mia vita, te l’ho data, a volte non capisci. Tu vedi me, mi scruti, mi analizzi, ti soffermi a vedere il momento, dimentichi per un soffio l’intero significato. Piuttosto, io vedo te, nonostante te, nonostante il peggio di te, quello per cui nessuno sceglierebbe nessuno”, mi dice di getto.
“La notte prossima il termometro scenderà ancora, roba da far gelare il sangue”, dico. Vorrei spezzare queste cattedrali di discorsi.
Mi perdo in un pensiero, il ghiaccio, il congelamento di un tempo.
“Non ti scruto, mi sembra di guardare attraverso la nebbia. Cerchi un mio sorriso? Io cerco il tuo. Ti guardo, aspetto. Mi chiedo quale sia il tuo stato d’animo, nel momento, aspetto il tuo di sorriso. Per stare bene. E’ come se si fermasse il tempo. Ogni volta è cosi per me, come se il tempo ripartisse da un tuo sorriso, dal saperti serena.”
C’è freddo fuori.
E mi viene da pensare quanto questo possa essere un appiglio per stare vicini.
Ho bisogno di questo, anche di questo.
Anch’io amo la notte.
E’ il tempo in cui il confine, lo spazio fra i nostri corpi sfuma, tutto diventa un territorio unico, le differenze impalpabili.
I suoi piedi sui miei, le dita scivolano fra loro e si agganciano in una trama fitta, niente può scioglierla.
“Non siamo così diversi, in fondo”, le dico. “Nel medesimo istante, siamo alla ricerca della stessa cosa. Specularmente. Ciascuno in attesa, a studiare lo sguardo dell’altro, il sorriso dell’altro. E tutto, nello stesso momento, siamo tanto precisi da avere lo stesso pensiero nel medesimo sbuffo di tempo.”
La sigaretta finita, ne accende un’altra.
“Non siamo cosi diversi, forse hai ragione”, mi dice dopo una ampia boccata di fumo. “E’ strano come non sappiamo discutere”.
Preparo la moka, gesti usuali.
“Non mettere troppa acqua e non pressare troppo”, mi dice.
“Passo il tempo a cercare di fare tutto quello che ti restituisca un po’ di tempo in più, affinché tu possa fare ciò che più desideri”, le dico di spalle, “Ma mi accorgo che non è esattamente ciò che vuoi. Pensavo fosse una grande magia, farti dono di più tempo libero”.
“Ha più valore un momento assieme, non ho bisogno di un tempo assoluto se svuotato”, mi dice. Nessuna frizione nel tono, le parole sgorgano limpide.
Il cavaliere che distende il tappeto rosso, che precede la dama, agevolandole ogni passo. “Sono soli, uno avanti e l’altra dietro, due solitudini prossime”, mi viene da pensare.
Noi due camminiamo assieme, scrutiamo lo stesso orizzonte, corriamo gli stessi rischi di un terreno accidentato. Nessuna facilità preventiva. C’è il sostegno dell’uno verso l’altro.
Aspetto il gorgoglìo della moka e inseguo alcune associazioni di pensieri.
“Ti ricordi il caldo di quest’estate? Quando con Leo andammo a rinfrescarci alle pozze lassù in montagna? Potevamo stare dentro un solo momento per quanto era fredda l’acqua”, le dico, “Hai ragione, il caldo affloscia”. Uno solo e ci sentimmo rivitalizzati”.
“Credimi, non è ciò che faccio, il dispiacere è nel rendersi conto che non ci si è accorti di un tempo che scorreva, di un tempo trascorso perdendone il senso”, mi dice. “Il tuo dono è importante, ma se io lo sprecassi, avrei perso il senso del mio e del tuo di tempo.”
“E se ogni scelta fosse uno sbaglio? Vedi come la delega di un tempo può diventare pericolosa?” mi incalza, ma le sue parole ci avvicinano.
“Ti piace avere il controllo”, le dico.
“Amo la condivisione. Non io e neppure tu, da solo, ma assieme.”mi dice.
“Il mio tempo è tuo e ogni istante tuo mi appartiene. Non come possesso, solo come certezza che ogni momento abbia la pienezza di una responsabilità reciproca. Tutto è nostro, tutto confluisce nella nostra pozza comune, un sorriso o anche un malumore”, le dico porgendole la tazzina.
“Vieni, prendiamo il caffè”.