La prima edizione di questo romanzo risale alla fine del mese di febbraio del 2019, ad opera della casa editrice Bookabook. A distanza di tre anni e mezzo, ho riletto quello che per me costituisce l’opera prima e ho avvertito il forte e personalissimo desiderio di ripartire da ciò che venne a mancare in quella prima edizione. Innanzitutto la copertina. Nelle scelte che fanno, le case editrici adducono spesso a motivi commerciali. Quando mi comunicarono che la cover non sarebbe stata quella da me suggerita, avvertii una fitta. Non si trattava di fare il difficile, ma nella scelta che suggerivo c’erano tutti i motivi che avevano dato l’avvio all’idea di questo romanzo. Con buona pazienza, chiesi il contatto telefonico e provai a spiegare le mie motivazioni. Speravo che il significato potesse avere priorità su tutto il resto. Non fu affatto così. «Ci sono criteri specifici per le copertine, si fidi degli esperti di marketing», mi sentii rispondere. Provai ad insistere garbatamente. Ci fu ancora più garbo dall’altro lato, direi persino un immenso muro di garbo finto democratico che chiudeva unilateralmente la questione. Riparto dalla copertina, pertanto, e dal suo significato che ne ha determinato al cosiddetta scintilla. Era un venerdì sera durante l’inverno del 2017. Per coprire l’assenza della padrona di casa, eravamo stati incaricati di fare i dog sitter. «Venite pure a stare qui.», ci fu detto, «Così non si traumatizza per il cambio casa.» Ci ritrovammo, pertanto, in quel venerdì sera, termine di una settimana particolarmente rognosa, alloggiati in quella casa ai margini di una cittadina di poche decine di anime, a ridosso di un bosco cupo. Clima freddo, buio, nessuno in giro. Frigo vuoto, non abbiamo fatto la spesa neppure noi. Occhi negli occhi, ci guardammo stanchi e infreddoliti. Allargai le braccia e le porsi il cappotto di panno pesante. «Ci tocca uscire di nuovo.» Raggiungemmo a piedi la piccola piazza del paese, nessuno a cui chiedere. Un cartello però indicava l’unica trattoria disponibile. Mangiammo senza freni, forse anche per lenire le ansie esistenziali di quel periodo difficile, fatto da tante tensioni, cumuli di non detti o di ritorsioni aperte e, per certi versi, legittime. Tornammo a casa, appagati e pronti per un week end al chiuso. In attesa che si liberasse la doccia per il mio turno, mi soffermai a guardare le stampe alle pareti. Fra di esse, nella piccola striscia fra due porte del corridoio, una foto, quella della copertina. Restai per lunghi minuti a fissare l’immagine, probabilmente i tanti mumble si sarebbero potuti visualizzare a qualche spanna dalla mia testa. «Cosa c’è?», mi disse lei, venendo fuori dal bagno in accappatoio. «È mia figlia di spalle.», aggiunse, presa dal dubbio che il normale discernimento mi avesse abbandonato. Puntai il dito sull’immagine. «Scriverò un libro.», dissi, «Ecco il titolo, la passerella.» «Stai bene?» Picchiettai con l’indice sulla foto. «Guarda bene, tua figlia si avvia, guarda avanti, però sembra un tantino timorosa.» La passerella, metafora del percorso della vita, un cammino per nulla semplice, pieno di improvvise insidie lungo l’intero tragitto. Si va avanti, sempre, se ti fermi, se ti arrendi, è game over, lo spreco del dono più grande che ciascuno di noi possa ricevere. Questo per quanto riguarda l’avvio del progetto. Una delle spinte, invece, per ripubblicare questo testo proviene da un fatto accaduto quando circolava in anteprima la bozza di questo romanzo. A quel tempo, era in atto una campagna di crownfunding da parte di Bookabook per verificare l’interesse dei lettori. In quella circostanza, qualche amico, sui social, si prodigava a promuovermi. Una signora di Roma che non figurava fra nell’elenco dei sostenitori, appoggiò gli elogi, sostenendo che aveva letto il romanzo d’un fiato. Più che per stizza, fui incuriosito dal verificare se fosse vero. La contattai discretamente sul medesimo social. La risposta arrivò pressoché immediata. La signora chiedeva se fosse possibile un chiarimento telefonico. Aperto ad ogni tipo di confronto, accettai, volevo andare in fondo alla questione. All’altro capo del telefono, un’anziana signora, molto a disagio, per la mia verifica in qualità di autore, si scusava e ammetteva di averne avuto una copia da uno dei sostenitori. Da allora, divenne una delle mie più grandi sostenitrici. Non c’era settimana in cui non si facesse viva, con me o con qualcuno della mia famiglia. Attendeva con trepidazione le prossime uscite, commentava ogni mio articolo sul blog. Prese a leggere anche le pubblicazioni di altri scrittori a me vicini, per il solo fatto che io avessi promosso una loro pubblicazione. Ogni tanto rideva, «Ricordati sempre che io porto fortuna agli scrittori.» Mi raccontava i suoi tanti problemi di salute. Ogni volta che pensava di essere prossima alla morte, una grande forza interiore la risollevava più forte di prima. «La tua ora è ben lontana.», le dicevo e mi raccontava, volta dopo volta, di quando Papa Giovanni Paolo II, in visita agli infermi in quell’ospedale, le aveva fatto una carezza sulla testa mentre era in coma e poche giorni dopo si era risvegliata. Non ci siamo mai incontrati di persona nonostante lei invitasse la mia intera famiglia ad andare a Roma, suoi ospiti. Nel maggio del 2021, la pandemia da covid si portò via il marito. Nella medesima giornata, portarono via anche lei in ambulanza, intubata, non più cosciente. Il suo corpo resistette qualche giorno, sempre in stato di incoscienza, non arrivò a sapere del marito. Non poté leggere il mio ultimo messaggio in cui le manifestavo che si sarebbe ripresa anche da questo. Quel messaggio restò lì, appeso, per molti mesi, come una lapide improvvisata, fino a che il suo nominativo venne rimosso. Cosa insolita, passai un intero mese senza che riuscissi, cosa insolita per me, a scrivere neppure un rigo. Fu un caso che ne parlai con un mio amico, anche egli scrittore, anche lui l’aveva avuta come lettrice. «Sai che mi è successa la stessa cosa?», mi rilevò, stupito.È stato il lutto che si è scelta? Chi può dirlo. Nonostante le mie tante altre pubblicazioni, mi diceva: «La passerella, Rosario, è la tua pubblicazione più bella.» Non posso sapere se esiste la possibilità che lei veda. Ma se così fosse, se mai c’è questa possibilità, ecco di nuovo La passerella, anche per lei.
Rosario Galatioto
Un bel omaggio che da spessore à cio che la vita ci offre