La differenza non sta in un concetto religioso ma in un fatto semplicemente umano. “Non uccidere” prima ancora che un comandamento, è una ragione umana, c’è poco da girarci attorno. Vale per tutti: nessuno può decidere la morte di qualcun altro. Non esiste caso ammesso. Farlo, equivarrebbe a stabilire una gerarchia umana in cui qualcuno, superiore a qualcun altro decide un abominio. Farlo equivarrebbe a ridurre una vita a semplice prodotto.
Decidere una morte
Decidere una morte, in qualsivoglia maniera, significa sostituirsi alla natura, se proprio non vogliamo scomodare il Creatore. Aborto, Eutanasia rimangono concetti in cui una società si erge sugli uomini, distaccandosene, piuttosto che esserne la proiezione. Non richiamerò volutamente i casi dibattuti, ormai tanti, mi soffermo a titolo puramente esemplificativo sul caso Lambert (Morte obbligatoria) (Omicidio di stato) (Vincent Lambert salvo) in cui “LA LEGGE” di uno stato chiede una morte con accanimento, quasi fosse una colpa o un cavillo giuridico da meglio chiarire. Peccato che dietro la contesa questa volta ci sia un essere umano e non una proprietà immobiliare.
La lezione di Steinlauf
Abbiamo la non buona abitudine di categorizzare gli argomenti. Se cito “Primo Levi” il pensiero corre alle sue esperienze nel lager. Eppure la lezione che egli riporta (“Se questo è un uomo”), le parole dell’ex sergente Steinlauf, seppure riferite alla condizione del lager, finiscono col riguardare “L’UOMO” in generale e la sua dignità. “[..] Noi bestie non dobbiamo diventare, che anche in questo luogo si può sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l’impalcatura, la forma di civiltà. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facoltà ci è rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l’ultima: la facoltà di negare il nostro consenso. Dobbiamo quindi, certamente, lavarci la faccia senza sapone, nell’acqua sporca, e asciugarci nella giacca. Dobbiamo dare il nero alle scarpe, non perche cosi prescrive il regolamento, ma per dignità e per proprietà. dobbiamo camminare diritti, senza strascicare gli zoccoli, non già in omaggio alla disciplina prussiana, ma per restare vivi, per non cominciare a morire. [..]”.
La dignità di ogni essere umano
Lambert non può difendere da solo la sua dignità. Ma la società che lo accoglie ne ha l’obbligo. In caso contrario, è una società assassina. E’ il mio pensiero. Lambert ha diritto alla vita e alla dignità, pari diritti ha il feto, idem per ogni persona che presenta una qualsivoglia forma di deficit. Se cosi non fosse, non saremmo uomini, come ci ricordava Primo Levi. Tolto questo senso della vita, tolto questo aspetto dalla coscienza individuale, siamo tutti ridotti a prodotti.
Le società civili
Le società civili possono finire nell’incorrere in questi tristi abomini. Smettono di essere civili, nel senso vero del termine e si votano al funzionamento del sistema stesso, staccandosi dall’umano da cui derivano. Una siffatta società non ha più motivo di esistere. Gli stati che non difendono la vita e la dignità dei propri consociati, ovvero dei cittadini, che ne calpestano vita e i diritti inviolabili, per mantenere in vita il sistema stesso, non hanno più motivo di esistere. Eppure accade. Uno stato è arrivato a classificare la vita umana in termini di costo. Non è più uno stato, ma un lager. Se sei ammalato e non puoi guarire, devi essere eliminato: è la logica del lager. La Repubblica francese e il proprio Presidente dovrebbe rifletterci su, basterebbe davvero poco.
Le pressioni contro “Pro-life”
Le pressioni contro le riflessioni a favore della vita sono una contraddizione in termini. Io sono nato perché qualcun altro lo ha consentito, ha lasciato che la natura facesse il suo corso. Inneggiare con le parole del femminismo di qualche decennio fa (“il corpo è mio”) è una menzogna. O, se preferite, un egoismo. Anche questo è un fatto umano; non scomodiamo il credo religioso. L’umanità esiste, continua ad esistere, perché siamo veicoli di vita. Sono concetti semplici che andrebbero spiegati a Gucci (magliette con la scritta “My body my Choice”) che ha ridotto l’annullamento della vita a trend commerciale. Non siamo merce, questa è la differenza.
Le differenze in più
Nel cristianesimo, due differenze in più. Il libero arbitrio che è la massima libertà, quella che solo un Dio poteva concedere nella sua Onnipotenza. La libertà di aderire al suo progetto di salvezza, o la libertà di sbagliare, di rinunciare, di far ciò che si vuole. Puoi dire di no, ma puoi sempre dire di si, anche in ultimo. La salvezza passa tramite la propria spontanea adesione. E’ libertà, non prigionia. Essere figli di questo Padre infinitamente misericordioso, pronto a salvarci, anche con una adesione in extremis è una differenza in più per chi vuole riconoscersi, accettarsi figlio. L’altra differenza è la Grazia (Guardando la morte). Il pensiero torna a Primo Levi e alla dignità. All’uomo compete non arrendersi mai, non cedere, non abbandonare al nulla la propria coscienza. Interverrà la Grazia divina a salvarci. Interverrà anche quando soccombiamo. Dio ci sostiene, anche quando pensiamo di non avere più le forze. Ci fa dono dello Spirito Santo. la Grazia interverrà perché non abbiamo ceduto l’ultimo baluardo. Questa è la vera differenza in più.
Buona domenica di Pentecoste dalla “Corda pazza”.