Guardando la morte
Guardando la morte: non sono all’altezza di commentare o esporre critiche elevate verso le considerazioni di quelli che ad oggi sono considerati “pensatori” e “filosofi“. Mi accosto a certe considerazioni con la mia sensibilità personale. E’ probabile che io possa rientrare, secondo questi ultimi, nel manipolo di coloro che hanno una visione condizionata del senso della vita derivante dalle tradizioni millenarie della nostra cultura. Probabile, perché no.
Onfray
Ma non per questo mi sento in errore. Rimango sgomento rispetto al fatto che il “pensatore” di carriera trentennale Michel Onfray sia stato celebrato nei “Cahier de l’Herne”, nota rivista di alto rango. Essa che esalta l’opera ultima che lo stesso, dall’alto del suo pensiero, intitoli “Sagesse“. Perché ce ne vuole, – scusate ma e’ la mia personalissima riflessione -, per stabilire le “saggezze” nel corso dei tempi, sopratutto se a farlo e’ chi proclama l’inutilita’ della vita. In pratica, tali indicazioni provengono da chi, riprendendo un dire di Heidegger (“essere per la morte”) ribadisce che “venire al mondo significa scoprire di essere per la morte” e “essere per la morte significa vivere giorno per giorno la delusione per la vita”. Mi intristisce che un solo essere umano giunga a queste conclusioni. Mi intristisce poi, che siano più di uno.
Houellebecq
Fa eco, per certi versi , l’altro Michel, – Michel Houellebecq per intenderci -, secondo il cui personaggio, per una specie di noia, noia ben pagata fra l’altro, per una noia diversa da quella di Moravia, possa avvicinarsi all’idea di suicidio senza neppure tristezza, “semplicemente per lento deterioramento della somma totale delle funzioni che resistono alla morte”, come ci ha descritto da un punto di vista strettamente fisiologico il medico Bichat. D’altronde, Onfray si ritrova a dire che “bisogna partire dal reale e costruirci sopra“. La sola onesta’ che ritrovo in lui. Partiamo proprio dal reale quando cerchiamo la verità. E’ un’esigenza umana, mica un sogno o uno sfizio per pochi. Provo dispiacere nel constatare che tanto sforzo intellettuale finisca in un’estrema miopia, dove il segno viene ostinatamente depurato dal senso. Si provi a spiegarlo a due persone che si amano. Dentro il reciproco sguardo c’è comunicazione dell’intera esperienza che fanno. Ma se ci limitassimo alle analisi miopi del fenomeno, seguendo i ragionamenti di Houellebecq e l’inutile ostentato nichilismo di Onfray, potremmo dire che ci sono solamente due occhi che guardano altri due occhi e nulla e’ stato asserito fra quelle due persone che possa testimoniare il loro amore. Eppure, essi lo sperimentano e ciò e’ un fatto!
Bourget
Preferisco Bourget che alla fine del “senso della morte” ci ricorda che “il dolore della ricerca (della verità) non e’ forse una preghiera?”? Forse le semplici parole nel “Rex Tremendae” del Requiem di Mozart condensano questo dolore che diventa supplica: “Re di tremenda maestà che salvi per Tua Grazia, salvami, o fonte di Misericordia.” Pertanto, dal mio insignificante nulla, mi permetto di rispondere a Onfray che sperimentare il rilancio del segno e intuire che la salvezza eterna e’ una Grazia, rimane la saggezza che vale tutte le altre.