Quando il mio professore di filosofia voleva spiegarci le possibili aberrazioni del sillogismo aristotelico, ci faceva questo esempio: “La forchetta ha tre denti (premessa maggiore; mia nonna ha tre denti (premessa minore). Dunque, mia nonna è una forchetta (conclusione derivante dalle premesse).”
Film sillogismo
Su Netflix ci siamo imbattuti nel film commedia “Nove lune e mezzo”. Il mio sottotitolo? Come far passare il messaggio della bontà dell’utero in affitto. “Difficile” arrivarci attraverso una analisi seria. Meglio percorrere la via della commedia. Quali gli ingredienti/premessa? “Che male c’è?”, “Il desiderio di maternità va assecondato ad ogni costo”, “La gestante ha un cuore grande”. Come condire il tutto? Una coppia omosessuale con due figli (riconosciuti da uno solo dei due partner, colpa della normativa italiana), la natura avara che va piegata ai nostri desideri, persino il tema dell’adozione, giusto per dar forza a qualcosa, come nel sillogismo impazzito.
Ambigue spinte legislative
Una delle frasi chiave del film: “In Italia, posso donare un rene, ma non posso prestare l’utero?” Per rafforzare il sentimento a favore, le due complici sono sorelle e la giustificazione è “compiere l’atto, al di là della legge perché essa è ottusa”, ovvero il tipico atteggiamento radical chic dei nostri giorni. Tutto ciò che non rientra nei piani, legge o non legge, può essere ritenuto comunque giusto e persino “una cosa da fare”.
La via dei sillogismi
Quella medesima via dei sillogismi folli porta ad un atteggiamento contraddittorio: la medesima cultura politica da un lato sostiene che la legge “non è giusta”, dall’altro, pur avendo una maggioranza di governo, non la cambia. E quindi? L’utero in affitto resta illegale, ma è una norma che “si può aggirare”, gli sbarchi clandestini sono illegali, ma per lo stesso motivo, le cose si fanno, come se le leggi fossero lì per facciata.
Il corpo è mio
Il refrain principale del femminismo degli anni sessanta e settanta, all’improvviso non vale più in periodo pandemico e viene “sospeso”. “Il corpo è mio” varrebbe per il caso trattato nel film, ma riguardo alle vaccinazioni obbligatorie, la regola che è stata sacrosanta per decenni, viene ribaltata in nome di uno pseudo interesse collettivo alla salute.
Idea collettivista
I nostalgici ad oltranza del collettivismo ogni tanto danno una fiammata di qui o di là. L’incommensurabilità del valore del singolo essere umano (giusto per restare nel terreno laico) non “conviene” al popolo del pensiero unico fintantoché non tocca il suo specifico interesse. Tutto deve appartenere allo stato, i beni e persino le persone. Sul fronte puramente materiale, il disincentivo a poter “possedere” è molto forte, su quello personale, siamo già deprivati delle più ovvie e elementari libertà.
Controllo culturale
Ciò che ancora manca, secondo questo modo di pensare, è un controllo culturale “diffuso”. Non è sufficiente una maggioranza governativa, il controllo della magistratura (che incide sull’interpretazione delle leggi vigenti), dell’istruzione di ogni ordine e grado (per diffondere al meglio una specifica idea di civiltà), delle case editrici e dei principali media. Ancora non basta. L’obiettivo resta, partendo dalle giovanissime menti (ormai sin dalla scuola elementare, i ragazzi sono raggiungibili attraverso l’uso distorto dei social), quello di diffondere una specifica cultura che non ammette contraddittorio. Allora la via sillogica come quella del film sillogismo preso casualmente ad esempio, è una opportunità a cui “ovviamente” i finanziamenti pubblici strizzano l’occhio e spalancano le porte.
Il film sillogismo funziona?
L’idea di Michela Andreozzi urta la mia personale sensibilità: il tema della maternità che dovrebbe essere l’argomento principale, diventa marginale di fronte a qualunque esigenza femminile. Se c’è il desiderio di maternità, esso può pretendere di scavalcare ogni limite. Al contrario, la lettura opposta è quella Childfree. Come arriva a dire, uno dei protagonisti maschili, “difficile stare dietro alle donne oggi”. L’unica lettura che emerge dell’universo femminile, è solo isterismo dei desideri, poca cosa davvero, per mettere in risalto il mondo della donna. Parimenti, lo sguardo riduttivo al “maschio”, che può esistere solo in subordine, mai nel senso pieno di coppia. Peggio di tutto, l’assenza del vero protagonista della maternità, il nascituro: nulla ruota attorno a lui, il desiderio da assecondare è solo quello della donna, non è contemplabile neppure l’idea di dare spazio a nuova vita. Secondo l’ideologia della sovrapopolazione, la famiglia che mostra un’apertura alla vita viene mostrata dall’unica angolazione isterica della donna che “sforna figli”.
Un modo davvero banale di essere radical chic, direi un pensiero sottovuoto.
Rosario Galatioto